4 luglio 2017

Domani Grecia, l’ultimo Paese del mio giro del mondo.

Scrivere, fotografare, pubblicare, ogni cosa sembra aver perso il senso su questa terrazza che mi ha accolto in una Istanbul caldissima 8 giorni fa e mi saluta in questa serata  fredda mentre la mia pigrizia mi impedisce di scendere in camera a prendere una maglia.

La stessa pigrizia che mi impedisce di scrivere, forse anche di pensare, e di capire, tutto quello che è successo dal 28 di febbraio ad oggi.

Luoghi, gente, amici, treni, aerei, odori, letti, ostelli, ospedali, chiese, moschee, templi, continenti, tuc tuc, tassisti, freddissimo, caldissimo, rupie, diram, lire, spagnolo, inglese, francese, parsi, hijab, topless, hallo how are you?, gatti, cani, scimmie, sete, fame, gioia, turco, turchi, paura, dolore, calore, affetto, lacrime, risate, poeti, poesia, ricchezza, povertà, consigli, chiacchierate, Buddha, Allah, Ganesh, Vishnu, cammelli, pinguini, muezzin, mare, montagne, fiumi, amici nuovi, amici vecchi, amici per un giorno, amici per un’ora, amici per sempre, elefanti, giorni persi, ore guadagnate, fusi orari, medicine, farmacie, ramadan, moai, lady, m’m, be careful, u’r so nice, tacchi, piedi nudi, burqa.

Non so come combinare insieme queste parole e molte altre. Per ora non ci riesco. Domani torno in  Europa. Domani torno a casa. Questo è quanto.

 

Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E’ un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema…
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po’ della nostra anima. ( Edmond Haracourt)

 

 

Istanbul prime impressioni

Arrivo a Istanbul e mi sento a casa. E non capisco perché, ma poi mi rendo conto che è la prima volta che da due mesi leggo indicazioni, pubblicità, numeri, scritti con i nostri caratteri alfabetici. Non ci fai più caso quando vedi scritte in hindi piuttosto che in armeno o in parsi, e quando poi leggi parole che comunque non comprendi, ma scritte in quei caratteri alfabetici così familiari per te, ti senti, come dire, rincuorata.

Sono qui essenzialmente per avvicinarmi all’Italia: dopo il mio ricovero ho rinunciato a visitare il resto della Turchia, scegliendo di non affaticarmi, e di stare solo in città grandi da visitare con calma, posti dove ci sia un aeroporto che mi possa portare a casa e un ospedale che mi possa soccorrere in caso di emergenza.

Ma che scelta azzeccata!

Istanbul è meravigliosa. Esattamente come raccontano tutti quelli che l’hanno visitata. Credo che sia la città più bella che abbia visto in questi 4 mesi. Il mio ostello ha la terrazza sul Bosforo e la vista è così bella che non mi va nemmeno di uscire, mangio qualcosa qui, chiacchiero col ragazzo del bar che ha 24 anni è curdo e mi racconta di quanto teme le trasformazioni evidenti nel suo Paese, di Erdogan, dei problemi dei Curdi e del pkk.

In questa terrazza, ascolto musica contemporanea, dopo tanto tempo, non più solo canzoni locali o al massimo musica  anni 70, qui sento quello che passa la radio a casa, e, ok, forse sono pro-global, ma dopo due mesi in cui tutto era lontano rispetto ai parametri in cui normalmente vivi, trovarsi in una città sospesa tra due continenti, dove la preghiera del muezzin è intercalata dalla splendida voce di Amy Winehouse, è una piacevole sorpresa.

E’ vero, confermo che probabilmente il viaggio del cuore, il viaggio tra la gente è finito in India, ma che bella scoperta Istanbul!

 

 

Odori suoni colori rumori

L’india ti stanca

È tutto. È troppo. È troppo per tutto.

L’India è Napoli all’ennesima potenza.

È l’unico posto dove ho trovato il paradiso all’inferno: in India sei circondata nello stesso momento e nello stesso luogo dalla massima bellezza e dalla più infima bruttezza. Continua a leggere Odori suoni colori rumori

E’ arrivato l’ambasciatore

Ho visto Carmelo Barbarello solo un giorno nella mia vita, una giornata estiva di quasi 40 anni fa. Di lui non ricordo nulla, della giornata tutto. Amavo il mare e a Scalea, allora, era meraviglioso, limpido e fresco, e potevi nuotare perché non era come quello di Metaponto dove ci portavano i miei che potevi camminare per un chilometro toccando sempre. A Scalea o sapevi nuotare o affogavi!

Ricordo tutto perché, nuotata a parte, fu una pessima giornata. Provate voi ad andare al mare ad agosto con una madre convinta che il sole faccia bene e che quindi non si usano creme solari: l’eritema è assicurato! Se poi aggiungete la curiosità di una stupida ragazzina che raccoglie la foglia di fico d’India (chi poteva immaginare che una sola foglia potesse contenere milioni di minuscole e invisibili spine!), il quadro di una giornata da dimenticare, consegnata alla imperitura memoria è assicurato.

Con Carmelo ho un cugino in comune, direi forse un fratello, ma questa è un’altra storia, e così dopo 40 anni il  mio cugino – fratello, che conosce bene la mia voglia di partire, mi racconta che quel bambino incontrato 40 anni fa oggi è ambasciatore in Nuova Zelanda. Lo contatto immediatamente, sperando che si ricordi di me e sperando che ci sia qualcosa da fare per me in Nuova Zelanda, ovviamente 1 non si ricorda 2 non c’è niente.

Ma ricevo la risposta più bella: “complimenti per la scelta di voler ricominciare dal posto più lontano da casa”.

Speranza

Sapere che un alto funzionario dello Stato, un alto rappresentante all’estero di quell’Italia che vive di pane e burocrazia, e da cui volevo scappare, non abbia come prima risposta :”ma che dici? ma dove vuoi andare a 47 anni suonati?”, mi fa ben sperare per il futuro della nostra amata patria, mi fa immaginare che accanto ad ottusi scribacchini con ruoli più o meno dirigenziali, esistano anche funzionari con la mente aperta che sanno guardare oltre i codicilli di cui affannosamente cercano di comprendere i significati reconditi da mettere in atto.

Ma Carmelo Barbarello è andato oltre.

E’ diventato ambasciatore senza per questo rinunciare alla sua identità. Perché non è vero che non conta quello che siamo, perché essere italiani piuttosto che russi, cacciatori piuttosto che vegani, hindi piuttosto che cattolici, omosessuali piuttosto che etero ci caratterizza eccome! E la vera uguaglianza dei diritti l’avremo raggiunta solo quando tutte le nostre diversità saranno accettate, socialmente e legalmente. Insomma Carmelo è omosessuale, e questo me lo fa amare da subito, ma a parte il mio essere frociara, come si fa a non amare un uomo che non solo non nasconde la propria identità sessuale, ma che porta avanti e vince una battaglia perché suo marito, sposato all’estero, ottenga il passaporto diplomatico, così come accade per qualunque famiglia “normale” di diplomatici italiani?

Da quel primo contatto sono passati due anni di scambi epistolari senza esserci mai visti.

Voglio ringraziare Carmelo prima che il mio viaggio finisca perché è stata la persona che mi ha appoggiata da subito e mi ha aiutata  in fase organizzativa e nei momenti difficili del viaggio. Mi ha suggerito quali Paesi evitare, mi ha cercato contatti nelle ambasciate dove ha lavorato (chi legge il blog si ricorderà, per esempio di Alicia a Buenos Aires!), mi ha dato consigli strada facendo su come comportarmi, mi ha sopportato i giorni dell’attentato a Teheran e mi ha suggerito cosa fare durante la mia malattia.

Carmelo non usa i social ma ci sentiamo su whatsap fino all’ultimo graditissimo messaggio :”ho visto i tuoi zii, li ho rassicurati e gli ho detto che sei assolutamente in grado di sapere se e quando è il caso di rientrare”

Grazie!

foto di Dubai

La ruota panoramica più alta del mondo, in costruzione. Io c’ero!

Quattro mesi in libertà.

Quasi 4 mesi, 20 voli, navi, treni, bus, taxi, tuc tuc, bicicletta, auto e tanti chilometri a piedi.

Perché? Perché mi piace.

Perché dovrebbe esistere una motivazione metafisico – trascendentale che indirizzi le nostre azioni? Ci vuole una ragione socialmente e/o moralmente condivisa o condivisibile che giustifichi ogni nostro (pubblico) comportamento?

E’ esattamente da questo che scappo, da tutta la vita, e non ci sono riuscita del tutto, perché è difficile essere liberi. La libertà è un fardello troppo pesante da sopportare perché abbiamo bisogno degli altri, e ci pieghiamo ai loro desideri per non essere soli.

Ma io amo la solitudine. Non a caso vivo in una casa nel nulla.

Vivere soli non vuol dire stare da soli.

Significa circondarsi di amici quando si ha voglia, fare feste in casa se ci va, vedere gente all’occorrenza. Ma vivere soli significa vivere liberi di vedere/uscire/festeggiare quando ci va e con chi ci va.

La solitudine fa paura ai più. Paura dei ladri, paura delle malattie, paura degli stupratori, o di qualunque catastrofico incontrollabile evento ci possa capitare.

Viaggiare da soli fa paura anche di più.

Ma viaggiare è libertà. Viaggiare da soli è libertà al quadrato.

E io amo la libertà.

Per questo sarebbe impossibile per me vivere in un Paese dove qualcuno decide per te come devi vestirti, quali siti internet puoi visitare, cosa puoi bere, quale lavoro puoi fare, quando e dove puoi mangiare.

Quattro mesi fa avevo paura anche io.

Oggi sono un’altra persona perché so che gli imprevisti possono capitare sempre e dovunque, e se sei sola troverai il modo di risolverli. Chi mi ama davvero cerca di farmelo capire da sempre, e dentro di me l’ho sempre saputo, ma solo con questo viaggio ho imparato a convivere con l’imprevisto senza impazzire. Aumentando la soglia della mia pazienza, ma senza rinunciare al mio temperamento.

Come ora, per esempio.

Arrivo in aeroporto alle 2 di notte perché il mio volo è alle 7, conto di riposarmi un paio d’ore prima dell’imbarco, ma scopro che il mio volo non esiste perché è stato spostato senza preavviso. Di 6 ore!

Accettare l’imprevisto ok, ma arrendersi supinamente all’incapacità di chi mi ha venduto un servizio, è un’altra faccenda. E infatti, grazie alle mie non silenziose rimostranze, ora mi trovo nella lounge vip, ovviamente senza pagare.

Perché non sai mai cosa si può nascondere dietro ad un imprevisto!

7 giugno 2017

Un blog è un diario anche giornaliero, quando si può scrivere.

Sono in Iran da 7 giorni, ho conosciuto gente straordinariamente ospitale, sto bene con loro.

Oggi tutto il mondo ha saputo degli attentati a Teheran.

Tanta gente mi ha chiamato dall’Italia preoccupata per me.

Uso questo mezzo per ringraziare chi mi ha pensata e per rassicurare tutti che sto bene, e che non sono a Teheran.

Prima di oggi l’Iran era il Paese più sicuro al mondo, anche se nel nostro immaginario non è così. Sono coraggiosa, non stupida: ho organizzato con cura le mie tappe, ascoltando i consigli delle fonti ufficiali, eliminando i posti non sicuri. Da domani non so cosa accadrà, ma non lo sa nessuno, in nessun luogo del mondo.

Come tutti sanno qui non c’è Facebook, quindi quando posso pubblico su instagram.

 

 

Dubai, un paradiso di plastica, ma anche no.

Dubai è una deviazione rispetto al viaggio di Ida Pfeiffer, ma non potevo non venirci trovandomi in Oman, praticamente a due passi.
Volevo vedere con i miei occhi quello che in così poco tempo e in condizioni naturali così sfavorevoli l’uomo è riuscito a creare, nonostante molte persone mi abbiano sconsigliato questa visita perché “Dubai è finta, è solo un paradiso per turisti, un paradiso di plastica”

E ogni volta mi chiedo cosa diavolo significhi per questi viaggiatori radical chic la parola finto, cosa significhi per loro cercare l’autenticità in un luogo. Persone che grazie all’economy class vanno per il mondo convinti di essere novelli Colombo e Magellano, o al massino nuovi Levis Strauss alla scoperta di sconosciute culture da indagare, dall’alto della loro superiorità.

Per me i luoghi sono tutti autentici, per il fatto stesso che esistono. E non c’è un posto più vero di un altro.

Detto questo, devo convenire che ha ragione chi ritiene Dubai un posto finto

Dubai è finta.

Non tanto per i suoi grattacieli futuristici costruiti sulla sabbia, per il mare che è stato portato nel deserto, per le 300 isole artificiali che ridisegnano il planisfero, o i tre arcipelaghi che formano una enorme palma, non per la pista di ghiaccio nel deserto o per le stanze dell’albergo costruite dentro un acquario, o per le strade cittadine a 7 corsie per senso di marcia e nemmeno per il grattacielo più alto del mondo con le fontane danzanti più grandi del mondo.
Niente di tutto ciò.

Dubai è finta perché solo una città finta può contenere 3 milioni di abitanti e nello stesso tempo essere pulita come il salone di casa dopo le pulizie di primavera, non può essere reale una città in cui la metropolitana è più igienizzata di una sala operatoria, che quando ti siedi su quelle poltrone linde e morbide hai bisogno di pizzicarti per capire se sei ancora sotto l’effetto dell’anestesia.

Sì, non venite a Dubai se cercate l’autenticità nel Gange per guardare estasiati le migliaia di persone che si fanno il bagno nel fiume più inquinato e pericoloso del mondo, non venite a Dubai se nel kit del piccolo antropologo avete studiato che bisogna osservare dall’esterno per comprendere per quale arcano motivo, per esempio, tutti gli indiani maschi pisciano per strada a Nuova Delhi, qui restereste delusi perché le migliaia di indiani che ci vivono usano il bagno per i loro bisogni come fareste voi a casa vostra, niente di nuovo, niente di “autentico”.

Sì Dubai è finta.

Ma quanto mi piacerebbe vivere in questa finzione!
Vorrei vivere in un Paese dove la criminalità è pari a zero, grazie alla certezza della pena; dove i nativi sono una esigua minoranza ma hanno priorità di accesso al lavoro, e vengono anche pagati meglio degli altri; dove grazie all’immigrazione controllata, la maggior parte degli abitanti proviene dalle zone povere della terra, perché qui possono vivere una vita dignitosa che la patria non gli garantirà mai, campassero 100 anni; dove il petrolio ha portato sviluppo, benessere, ricchezza, alzando il tenore di vita di tutti.

Invece vivo in Basilicata, Italia.
Anche noi ringraziamo il petrolio ogni giorno quando andiamo in ospedale a fare una tac o al cimitero a visitare un amico.
Anche noi facciamo miracoli con la sabbia: a Metaponto è sparita, per esempio.
Anche noi abbiamo gli immigrati, a cui facciamo la nostra carità pelosa, ma sia chiaro, molto pelosa!
Anche noi sappiamo costruire strade e autostrade, addirittura a tre corsie per senso di marcia, ci mettiamo 50 anni, ma alla fine arriviamo.
Ah e noi non costruiamo sulla sabbia, mica siamo matti, che da noi c’è il terremoto, mica si scherza con 3000 morti, quanti sarebbero stati se avessimo costruito questi grattacieli a norma nel deserto?

Mi piacerebbe vivere a Dubai ma vivo in Italia, il Paese più bello del mondo.
Noi viviamo nella storia, abbiamo la bellezza negli occhi e nel cuore come nessun altro al mondo. Ma ci siamo assuefatti, o forse siamo solo stanchi, stanchi di portare sulle spalle e nel cuore il peso di una civiltà tanto imponente e tanto antica. Camminare per le strade di Roma può essere un’emozione insostenibile se privi di assuefazione, come puoi camminare dove ha camminato Augusto, sulle stesse pietre e continuare la tua piccola vita?
Qui a Dubai la storia si costruisce giorno per giorno e solo con il paravento davanti agli occhi non si comprende che camminare oggi a Dubai è come camminare nella Roma di Augusto, quando le opere venivano costruite. Dubai è l’Egitto dei faraoni, la Firenze dei Medici, la Roma di Giulio II e le sue strutture non sono più finte delle piramidi, di S Pietro o della torre Eiffel. Noi abbiamo la storia, e non la sappiamo tutelare, loro non avevano niente e hanno deciso di costruire la storia, e il futuro.

E il lusso sì quello c’è, ma non per questo mi sento sminuita, non mi posso permettere una suite da 7000 euro, ma non me ne faccio un problema. Tutt’altro. E’ come se qualcuno mi sussurrasse all’orecchio con voce gentile:”non preoccuparti, provvediamo noi a tutto quello che è risolvibile con i soldi, tu occupati del resto”.
Solo un problema: i rumori di sottofondo h24 che mi  ricordano che quei cantieri stanno costruendo il futuro  sì, danno fastidio, ma voi sareste andati da Cheope a lamentarvi perché la finisse con quel casino di schiavi-corde-massi-urla? Ecco, nemmeno io.