Arrivo a Istanbul e mi sento a casa. E non capisco perché, ma poi mi rendo conto che è la prima volta che da due mesi leggo indicazioni, pubblicità, numeri, scritti con i nostri caratteri alfabetici. Non ci fai più caso quando vedi scritte in hindi piuttosto che in armeno o in parsi, e quando poi leggi parole che comunque non comprendi, ma scritte in quei caratteri alfabetici così familiari per te, ti senti, come dire, rincuorata.
Sono qui essenzialmente per avvicinarmi all’Italia: dopo il mio ricovero ho rinunciato a visitare il resto della Turchia, scegliendo di non affaticarmi, e di stare solo in città grandi da visitare con calma, posti dove ci sia un aeroporto che mi possa portare a casa e un ospedale che mi possa soccorrere in caso di emergenza.
Ma che scelta azzeccata!
Istanbul è meravigliosa. Esattamente come raccontano tutti quelli che l’hanno visitata. Credo che sia la città più bella che abbia visto in questi 4 mesi. Il mio ostello ha la terrazza sul Bosforo e la vista è così bella che non mi va nemmeno di uscire, mangio qualcosa qui, chiacchiero col ragazzo del bar che ha 24 anni è curdo e mi racconta di quanto teme le trasformazioni evidenti nel suo Paese, di Erdogan, dei problemi dei Curdi e del pkk.
In questa terrazza, ascolto musica contemporanea, dopo tanto tempo, non più solo canzoni locali o al massimo musica anni 70, qui sento quello che passa la radio a casa, e, ok, forse sono pro-global, ma dopo due mesi in cui tutto era lontano rispetto ai parametri in cui normalmente vivi, trovarsi in una città sospesa tra due continenti, dove la preghiera del muezzin è intercalata dalla splendida voce di Amy Winehouse, è una piacevole sorpresa.
E’ vero, confermo che probabilmente il viaggio del cuore, il viaggio tra la gente è finito in India, ma che bella scoperta Istanbul!