L’india ti stanca
È tutto. È troppo. È troppo per tutto.
L’India è Napoli all’ennesima potenza.
È l’unico posto dove ho trovato il paradiso all’inferno: in India sei circondata nello stesso momento e nello stesso luogo dalla massima bellezza e dalla più infima bruttezza.
Lo senti sulla pelle, negli occhi, nel naso, nell’anima.
La sporcizia dell’India te l’aspetti, ne parlano tutti, ma finché non la vedi non puoi capire cosa significhi, lo capisci quando ti rendi conto che la cosa più pulita che hai intorno a te nel raggio di un chilometro quadrato è la mucca che mangia dai cumuli di immondizia per strada.
E mentre cammini schivando tutto quello che di inimmaginabile i tuoi piedi vanno calpestando, tra la puzza di immondizia e di escrementi animali e/o umani, senti il profumo di fiori provenire da una bancarella che prepara ghirlande votive, o l’odore speziato del chai e allora ti fermi, e chiacchieri col ragazzo del tè e non vedi più nessuna sporcizia non senti più nessun odore se non quello meraviglioso delle spezie avvolgenti che lui ti sta offrendo in questo bicchierino lavato in strada con acqua non potabile, e lo bevi perché sai che potrai girare tutto il mondo ma non troverai mai un tè migliore di questo. O un lassi, questa specie di yoghurt liquido che ti servono in coppette di creta usa e getta, e ti fanno accomodare in un vicoletto strettissimo e tu ti concentri sulla tua tazzina evitando di guardare il bue col naso che cola a 10 cm da te e ogni volta pensi “che Dio me la mandi buona”.
Ma all’India, come e Napoli, perdoni tutto e anche di più.
Quel relitto di omuncolo, che l’ultima sera a Varanasi per strada mi ha toccato il seno, sembra meno molesto dei cingalesi che mi hanno assillata verbalmente per 10 giorni; non puoi gettare la carta nel wc ma questo mi provoca meno fastidio che in Cile; i 45 gradi dell’India mi sono sembrati una bazzecola rispetto ai 35 dell’Iran; lavarmi i denti per 10 giorni con l’acqua minerale non mi ha mai dato fastidio quanto fare la stessa cosa in Oman per tre giorni; un infinito viaggio in un autobus sporco, scomodo e privo di qualunque misura di sicurezza, che quando scendi dovresti solo andare a Lourdes per ringraziare di essere uscita viva, non mi ha provocato lo stesso fastidio delle 4 ore in taxi da Erevan a Tbilisi con un omaccione sgarbato che guidava credendo di essere sul circuito di Monza.
E non so spiegarmene il motivo.
Chi mi conosce sa che la mia soglia di tolleranza è bassa, che quando Dio distribuiva la pazienza io mi ero persa la fila perché stavo litigando con San Pietro che non aveva distribuito i numerini correttamente, ma in India è diverso. E non esiste una spiegazione razionale, è come se ti adegui al flusso, ti senti parte di una casta, e ti rassegni a quello che ti capita perché sai che, almeno in questa vita, le cose non potranno cambiare.
Ho sperimentato il mal d’Africa, e tutt’oggi pensare all’Africa è solo desiderio di tornare in un luogo dove invisibili braccia materne e accoglienti ti aspettano e ti chiedono di non andare più via.
Esiste qualcosa di simile per l’India.
In India ogni santo giorno dici basta, vado via.
Non puoi restare in un posto dove vedi cadaveri bruciare a due passi da te e poi la gente farsi il bagno circondata dalle ceneri di quei falò; dove le persone fanno ore di fila a piedi nudi per portare corone votive ad un dio con le fattezze di elefante e pensi “ma dai, noi abbiamo abbandonato il politeismo 2000 anni fa!”; dove le strade sembrano circuiti impazziti di autoscontro al luna-park e l’uso del clacson è semplicemente di serie (per chi conosce Napoli bisognerebbe moltiplicare quel casino in strada per un milione); dove incontri una ragazzina che dimostra 13 anni che ti presenta il marito, subito pronto a dire che la moglie di anni ne ha 31; dove un risciò ti pesta un piede e nemmeno si ferma a soccorrerti.
Eccetera. Eccetera.
E ogni volta dici domani prendo il primo volo e parto.
E ogni domani ti alzi col desiderio di uscire e camminare e vedere e sentire e parlare. E ricominci dai colori, suoni e rumori dell’aarti sul Gange
o da una chiacchierata con un mendicante felice
o passando la serata con bambini dispettosi
Sono in volo per Istanbul, da tanto tempo volevo vederla. Ci starò una settimana prima di decidere se continuare o rientrare. Vedrò monumenti bellissimi, ricchi di storia studiata per anni: Costantinopoli, già il nome mette paura.
Ma il mio cuore lo sa che il mio viaggio è finito con l’ India.