Mi chiedo cosa sarebbe stato il Brasile senza gli italiani.
Perché in un posto “scoperto” e colonizzato dai portoghesi e dove si parla portoghese, uno magari si immagina che la maggior parte della gente provenga dal Portogallo. E invece la storia prende strade diverse così capita che vieni qua e impari che ci sono paesi dove quasi la totalità degli abitanti ha origine italiana.
Come Vinhedo, una città vicina a San Paolo che ti accoglie all’ingresso con una bandiera italiana.
Questi italiani di terza e quarta generazione, mi guardano ammirati, hanno per me un senso di rispetto, qui io rappresento la Patria di cui hanno sentito parlare in casa da sempre. Una patria che non esiste più, e forse loro non lo sanno.
Sono così ancorati alle origini che dall’Italia vengono qui linguisti alla ricerca di anziani che parlino in dialetto, perché sanno che quello è il dialetto puro, che da noi non esiste più.
In questa zona del Brasile, quasi tutti gli immigrati italiani provengono dal Veneto o dal Trentino, e c’erano due modi per arrivare qui: o chiamati direttamente dai fazenderos che avevano bisogno di manodopera, dopo l’abolizione della schiavitù, o per un accordo tra governo brasiliano e governo austro-ungarico per popolare le zone abbandonate. In entrambi i casi i nostri contadini non se la passavano bene: analfabeti, nella loro vita avevano conosciuto solo il loro pezzo di terra che non riusciva a sfamarli, si imbarcano sperando di migliorare la loro condizione senza nemmeno sapere dove siano diretti, la Merica era un posto grande, molti pensavano di arrivare in Argentina o negli Stati Uniti e invece vengono sbarcati a Santos e buttati nelle fazende a lavorare come schiavi per un tozzo di pane o, peggio, nella foresta tropicale, senza ricevere nulla, per popolarla
https://www.youtube.com/watch?v=HPAEJHW3phs
Cento anni dopo, ad una diversa latitudine e con modalità diverse, la storia si ripete.
I nostri connazionali, abituati ad una vita di stenti già nella madrepatria, riuscirono a risparmiare tanto che dopo la crisi del caffè, quando i fazenderos dovettero parcellizzare e vendere la fazenda, si comprarono la terra, unendosi in cooperative, come a Traviù dove nacque una cooperativa di veneti e trentini, che ad un certo punto si divisero letteralmente in due la città, come indicano i ceppi davanti alla chiesa: a destra i veneziani e a sinistra i trentini, riuscirono così a mantenere la proprietà della terra, pur nella divisione del territorio.
Anche Vinhedo è nata dalla parcellizzazione della prima enorme fazenda. Gli immigrati, però, dopo la crisi del caffè iniziarono con la coltivazione dell’uva, facendo crescere a dismisura questo posto che in 100 anni è passato da 7000 a 70000 abitanti diventando una città autonoma con un suo proprio nome, che deriva appunto dalla peculiarità delle vigne, di cui oggi troviamo solo pochi residui, essendo diventata essenzialmente una città industriale, dove i discendenti di quegli emigrati italiani, partiti con la valigia di cartone, sono diventati grandi imprenditori.
Uno su tutti il caso Frango Assado.
Un giorno un tale signor Mamprin impianta una bancarella sulla strada per vendere il pollo arrosto agli automobilisti e capisce che quella attività può rendere, al punto che da quella bancarella è nata una rete di motel su tutte le autostrade del Brasile che rende oggi milioni di euro.
La Merica non era un miraggio, esiste davvero!